“Don’t go, the boss doesn’t like backpacks!”. È il ragazzo messicano che lavora in cucina che cerca di fermarmi mentre esco da lavoro con 40 minuti di ritardo non pagati. Al boss non piacciono gli zaini. Non capisco subito il perché. Impiego qualche secondo a comprendere il fatto che il capo per cui tutti lavoriamo in nero, il capo per cui non esiste minimo sindacale e che ogni sera prova ad intascarsi le nostre mance, ha paura che ci imbottiamo gli zaini di panini e pizzette. Esco con lo zaino in bella vista sperando che mi fermi, ma accenna un saluto e mi lascia passare. Ciò a cui il ragazzo messicano non ha pensato è che ci sono zaini e zaini. Non tutti sono uguali ed il mio è biondo, italiano e pieno di libri dell’ università. Quando lo zaino è latino e dentro ci sono unicamente la necessità di lavorare e la mancanza di alternative, le cose sono diverse.
È questa la faccia reale e nascosta dell’ america ugualitaria e multietnica. E basta addentrarsi nel retro dei locali, nei magazzini dei negozi, verso le fermate capolinea della metropolitana per avere il dubbio che se l’ america non è razzista è solo perché è costruita su una società il cui classismo è cosí forte e radicato da rendere il razzismo superfluo. Società dalle gerarchie ben definite nella quale neri e soprattutto latinos stanno alla base e costituiscono il motore. La maggior parte sono immigrati illegali. Vengono qua giovanissimi. Dopo un viaggio infernale che generalmente prevede quattro giorni accatastati nel retro di una macchina e due giorni di camminata nel deserto senza acqua né cibo, comincia il sogno americano.
Lavorano sei, anche sette giorni la settimana, 13 ore al giorno per 500 dollari. Prendere o lasciare. E lasciare non si può. Lo sanno bene loro e lo sanno ancora meglio i datori di lavoro. Non si può perché un dollaro a casa sono 12 pesos che è una bella somma e non si può perché è da quei soldi che, spesso, dipende la famiglia. Molti scelgono di stare quattro-cinque anni al termine dei quali avranno qualche soldo da parte da investire nel loro paese e una volta a casa si ritroveranno, ironia del destino, a dover ringraziare l’ america. È questo il vero sogno americano. Sono loro la struttura, le fondamenta e le basi di palazzi patinati e luccicanti di cui non potranno mai essere la facciata.